Sarebbe così facile parlare di una bella signora di 46 anni che si diverte come se ne fosse appena uscita dalla fabbrica. Sarebbe così semplice da rendere tutto banale, quasi volgare. Potrei anche fare il simpatico e scriverlo: sì, questa è una vera milf. Ma non renderei giustizia al mito che è la Dyane. Né all’emozione che si prova guidandola, paragonabile a quella che provò Proust assaggiando le sue madeleines.
Ce ne siamo andati in giro su una scintillante Dyane 6 del 1973. Di rosso, anzi di rouge de rio, vestita. Fuori e anche dentro, con gli interessanti richiami degli interni. La macchina, questa che appartiene alle scuderie di Ruggine & Regine di Mariano Fortunato, sa essere irresistibilmente elegante, quasi abbagliante, nella sua semplicità. Gli esteti non potranno non notare che la tonalità grigia della capote in tela richiama il colore dei cerchioni, degli inserti sui paraurti e delle maniglie agli sportelli. Una sciccheria fascinosa che ci ricorda perché d’Annunzio ci insegnò che l’auto (e questa ancor di più) è donna, esuberante com’è di quella soggiogante civetteria tutta femminile che il cinema ha incorniciato nelle epopee del genere poveri ma belli.
L’emozione che si prova guidandola non è di quelle prettamente pane e benzina; scordatevi brividi anche solo vagamente corsaioli. Il motore è il bicilindrico boxer che, con vari accorgimenti nel corso degli anni, ha accompagnato tutto il segmento “basso” e “medio” della casa dei due chevron, dalla prima fino all’ultima Due Cavalli, dal ’48 fino alle notti magiche di Italia ’90 passando per le Ami 6 e 8 fino alla prima serie della Visa. Quello che muove la Dyane 6 è quello da 602 centimetri cubici di cilindrata. Correre, dunque, non solo è impossibile ma è inutile. Allora meglio andarsene in giro sullo sterrato, per le strade di campagna, girar tra borghi, andarsene a mare. Non male neanche come soluzione comoda per la città, a zigzagare tra buche e marciapiedi sempreché le normative antismog ce lo permettano. La Dyane, ieri e anche oggi, è un inno alla libertà.
Salire a bordo di una Dyane è prendersi un po’ di svago dal tempo standardizzato e robotico di oggi. Forse è anche uscire, per un po’, dal frastuono contemporaneo dove tutto è rumore bianco, piatto. È un viaggio indietro fino al tempo in cui le auto, incredibile dictu!, non erano tutte uguali e le case costruttrici non s’erano ancora messe in testa di riempire il mercato di lavatrici massificate e tutte uguali, cariche di elettronica e costruite in mille joint-venture.
Se credete, per esempio, che non sia mai esistita una leva del cambio posizionata altrove rispetto al suo “solito” posto, se vi domandate ancora perché certi anziani, in certi paesi, si ostinino a dire che il freno a mano si chiama “martellina”, su quest’auto (come in tutte le altre Citroen coeve) troverete ogni risposta. E scoprirete quanto sia scocciante prima e divertente poi usare il cambio “a manico d’ombrello” e come sia semplice tirare quella leva frenante che pare il rubinetto della fontana in giardino.
Ma il divertimento vero è in marcia, ovviamente: magari trotterellando verso un bel tramonto. La Citroen Dyane conferma l’anima antica della casa e avanza con andamento ondivago. Nel senso nautico del termine, la vettura ondeggia letteralmente. Sono le sospensioni semi-orizzontali a garantire l’effetto e a renderla stabile anche sullo sterrato più cattivo, a impedirne il ribaltamento. Ciò non vuole che guiderete sui binari e nemmeno che sia noiosa. Ricordate o no l’indovinatissima campagna “vinci una Dyane se la ribalti”?
Ebbene, dicono le leggende urbane, ancora nessuno ci sia riuscito. Né sulla strada e nemmeno nell’immaginario collettivo.
gv