Prima c’era l’Ami 6. Prima ancora, il buio. O meglio, la Citroen aveva un “buco” nel suo palinsesto: non c’era un’auto per il segmento medio, per tutta quella fascia di consumatori che, pur non avendo la possibilità di comprare una stupenda Ds non volevano, però, “appiattirsi” sulle popolarissime Due Cavalli. L’esperimento della Id, nonostante prezzo ridotto e versatilità, non aveva convinto il grande pubblico.
Dal genio di Flaminio Bertoni ecco nascere la vettura che avrebbe dotato la casa del Double Chevron del suo prodotto “medio”. Niente di più distante, fu l’Ami 6, dal concetto di mediocritas, per quanto aurea. Era avveniristica, le sue linee erano talmente ardite – come il montante posteriore rovesciato, ricordate? – da ipnotizzare la platea francese e internazionale. Non bellissima, ma una brutta che piacque. E tantissimo.
Passò qualche anno e la Citroen decise di rinverdire listini e offerte. La Due Cavalli avrebbe dovuto trovare la sua sostituta nella Dyane, e l’Ami 6 avrebbe dovuto cedere il passo alla versione successiva, l’Ami 8. Bertoni, però, nel 1964, era morto. L’azienda chiese a Robert Opron di mettere mano al progetto. Opron trasse, dalla base anticonformista dell’Ami 6, un’auto che parlava, diretto, alle richieste di un solido padre di famiglia degli anni ’60 e ’70. Raddrizzò il montante posteriore, per esempio e addolcì il muso dell’auto, così aspro sulla “6”. Pensò a due allestimenti: la Confort e la Club, quest’ultima vero e proprio successo commerciale.
La più rara Confort è quella che abbiamo provato. La vettura, conservata da Ruggine & Regine di Mariano Fortunato, è del 1972 quando alla gamma dell’Ami s’era già affiancata la versione Break mentre, da lì a qualche mese, la casa avrebbe lanciato la versione Ami Super.
Il motore è il “solito” bicilindrico boxer da 602 centimetri cubici, lo stesso che muove anche la Dyane 6. Il sistema delle sospensioni semi orizzontali garantisce l’effetto “nave” che è un marchio di fabbrica delle vecchie Citroen, quasi al pari degli iconici cerchioni e del cambio a manico d’ombrello. È dentro, però, che si nota la differenza con i modelli più popolari della casa degli Chevron.
I sedili sono talmente comodi da assomigliare quasi a delle poltrone, i materiali ricordano la pelle e risultano molto eleganti e austeri. Il volante monorazza è un tocco di classe. Questo modello, inoltre, ha gli chevron dorati: le primissime Ami 8 non li avevano e quelli colore oro rappresentavano il top di gamma.
Come si sarà capito, inutile menarla sulle prestazioni. L’Ami 8 era l’auto familiare per eccellenza. Le famiglie numerose preferivano la Club, quelli che avevano i figli grandi invece si accomodavano sulla loro Confort. Tragitti, di solito, brevi e limitati. Talora giusto per andare alla messa, la domenica. Era un’auto per signori: gente matura e responsabile, con la testa sulle spalle. Persone che amavano la tranquillità e non avevano tempo da perdere con le sciocchezze. Un’auto solida e antica che sarebbe piaciuta a chi, come i latini, postulava essere la felicità nell’assenza di turbamenti. Nella mediocritas, intesa nel suo autentico senso letterale e senza il connotato negativo che le si attribuisce da qualche decennio a questa parte. E la “8” turbamenti ne dava davvero pochi. Mica come quella scavezzacollo della Ami 6…
Giovanni Vasso